Vitigni autoctoni
Si tratta di antichi vitigni che sembravano scomparsi, fagocitati dai rovi e dall'incuria degli uomini, portati a nuova vita con cura e rispetto come si trattasse i reperti archeologici.
La riscoperta dell'esistenza di questi vitigni in alcuni poderi familiari, prevalentemente nella zona spilimberghese, ha contribuito ad alimentare un crescente interesse da parte della stampa, esperti, operatori del settore o semplici appassionati.
Dopo una lunga e paziente ricerca sono stati riportati in vita ceppi di Piculìt Neri (forse quello stesso vinum pucinum presente sulle mense romane), Sciaglìn (probabilmente della famiglia delle uve "schiavoline"), Forgiarìn (che prende il nome da Forgaria, un piccolo centro dal quale nei secoli scorsi emigravano in Ungheria e Romania
ricercati potatori di viti), Cividìn (il vino è citato nei documenti del 1600-1700 tra i più apprezzati dei banchetti nuziali), Cjanòrie (originario di Gemona) e Ucelùt (appartenente alle cosiddette "uve uccelline").
"Quanto si glorierebbe l'Inghilterra, se avesse le nostre vigne, i nostri Refoschi, i nostri Picoliti, i nostri Cividini, le nostre Ribuole? Vini son questi, che possono competer co' più famosi di Francia: anzi saremo ad essi sempre superiori per Picolito; purché la fama di esso, arrivando a loro notizia, non cerchino di procurarselo; cogli studi che fanno di continuo per la perfezione de' vini, nol rendano eccellente e famoso sopra il nostro".
Fonte: Degli Scritti di Agricolture Arti e Commercio di Antonio Zanon, Udine 1828
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